È la moda del momento. Stiamo parlando delle bici a scatto fisso. In questo mondo urbano, nulla è lasciato al caso: telai dai colori estremi abbinati a manubri, pedali, ruote, catene. Il tutto all’insegna della massima personalizzazione. Il passo successivo è quello di caratterizzare il telaio a seconda dei propri gusti, scegliendo il colore preferito, la propria fantasia grafica oppure i testi scritti a mano direttamente dall’utilizzatore finale. Il tutto per conferire alla bicicletta e al proprio stile di vita una sua unica e inimitabile identità.
R&U (Recreation and Urban by Sants) di Bemmex è un servizio unico, dedicato ai ciclisti urbani, che – una volta scelta la colorazione del telaio e della forcella – possono esprimere la propria arte decorando il telaio con il pennarello fornito dall'azienda. La grafica o il testo scritto sul telaio vengono poi fissati in maniera indelebile nei centri di lavoro e verniciatura di Bemmex. Per garantire la qualità del prodotto, il PH dei lavaggi, la temperatura dei forni, il flusso di polvere erogata e la tensione delle pistole sono lavorazioni costantemente monitorate a video tramite un PLC collegato a un PC. Nella cabina di verniciatura Ramsaier Coating si ottengono, così, prodotti qualificati con una verniciatura a polvere termoindurente, che rende i trattamenti galvanici sui telai delle biciclette unici ed esclusivi.
venerdì 4 novembre 2011
Un negozio... fissato
Iride è un negozio specializzato di Modena. Il nome si ispira all’iride ma anche all’inglese “I Ride” ossia “io corro”. Kappa (Francesco Capitani) ci spiega che la loro (con lui c’è Matteo Zazzera – ex pro mtb – e Walter Carruba) è una passione coltivata sin da ragazzi. Provengono dal mondo dello snowboard o dello skating o della mtb e dal 2009 hanno aperto il punto vendita in un affascinante angolo di Modena. Era un capannone dove nel dopoguerra c’erano artigiani come il fabbro o il tornitore e che oggi, invece, ospita fotografi e designer. «Abbiamo fatto le prima conversioni (ossia passaggio da bici da strada a fissa n.d.r) per gli amici. Oggi le offriamo a un pubblico di appassionati. Realizziamo telai a km 0, utilizzando telaisti della zona, e offriamo (oltre a Cinelli) una bici “entry level” e due di fascia alta. Queste bici sono una scelta di vita, vengono usate con ogni tempo e anche per le gare. La nostra “Bomba” ha telaio oversize in alluminio, forcella in carbonio e reggisella classico in carbonio, per performance come la Red Hook. Da noi viene il professionista che vuole una bici molto esclusiva o il ragazzo giovane, attratto dal brand, o il ragazzino che ci porta la vecchia bici del nonno da convertire».
Come nascono le bici a scatto fisso?
Immaginatevi New York, primi anni ‘80, l’economia mondiale girava intorno a Wall Street e la velocità nella comunicazione per fare business, per la prima volta, assume una nuova dimensione. Internet era praticamente ancora un’utopia e la posta cartacea troppo lenta per soddisfare le necessità d’informazione della nuova e rampante razza di colletti bianchi definiti “yuppies”. In questo contesto si sviluppa – prima a New York, dopo a San Francisco e poi in tutte le principali metropoli americane – un nuovo profilo professionale, quello dei messenger, i fattorini in bicicletta che con grande rapidità ancora oggi fanno consegne di piccoli pacchetti e buste nelle vie del centro. Un movimento che non ha tardato a suscitare l’interesse di sociologi e studiosi del comportamento umano, celebrato da Travis Hugh Culley nel libro intitolato “il Messaggero” e dal lungometraggio originariamente conosciuto come “Quicksilver” ma da noi proposto con il decisamente meno coinvolgente ed evocativo titolo di “Su e giù per Wall Street” del regista Thomas Donnelly e interpretato da un giovane Kevin Bacon reduce dai successi di Footloose.
Il telaio dei messanger era rigorosamente usato, non dimentichiamoci che la bici doveva servire per fare soldi, non per spenderli. Via tutti i rapporti, via il cambio, il deragliatore e i comandi, la sella il più essenziale possibile, magari in plastica rigida (tanto si pedala sempre in piedi), il manubrio il più stretto possibile al limite delle dimensioni delle manopole per passare tra le auto anche dove sembra impossibile e via anche i freni, tanto si può frenare con il mozzo a contropedale. Ma cosa succede se si resta ugualmente imbottigliati? Per non perdere tempo prezioso ci vorrebbe la retromarcia. Così tra i messenger scatta la frenetica ricerca dei mozzi posteriori a scatto fisso, cioè privi di ogni meccanismo di ruota libera e solitamente utilizzati dai professionisti in allenamento o su pista. La miscela così ottenuta è assolutamente esplosiva, grazie ai pedali con i puntapiede e i cinghietti, uomo e bici diventano una cosa sola, ogni grano che compone il manto di asfalto viene percepito dal biker che si muove nel traffico con la stessa disinvoltura che ha l’atleta quando corre a piedi, ma a una velocità decuplicata. Per frenare sarebbe bastato rallentare la pedalata o contrapporre con decisione le gambe al senso di rotazione e spostare il peso sulla ruota anteriore per bloccare quella posteriore e partire in derapata. Una tecnica di guida decisamente originale e sicuramente molto rischiosa che ha fatto dei messenger e delle loro bici un vero cult.
Il telaio dei messanger era rigorosamente usato, non dimentichiamoci che la bici doveva servire per fare soldi, non per spenderli. Via tutti i rapporti, via il cambio, il deragliatore e i comandi, la sella il più essenziale possibile, magari in plastica rigida (tanto si pedala sempre in piedi), il manubrio il più stretto possibile al limite delle dimensioni delle manopole per passare tra le auto anche dove sembra impossibile e via anche i freni, tanto si può frenare con il mozzo a contropedale. Ma cosa succede se si resta ugualmente imbottigliati? Per non perdere tempo prezioso ci vorrebbe la retromarcia. Così tra i messenger scatta la frenetica ricerca dei mozzi posteriori a scatto fisso, cioè privi di ogni meccanismo di ruota libera e solitamente utilizzati dai professionisti in allenamento o su pista. La miscela così ottenuta è assolutamente esplosiva, grazie ai pedali con i puntapiede e i cinghietti, uomo e bici diventano una cosa sola, ogni grano che compone il manto di asfalto viene percepito dal biker che si muove nel traffico con la stessa disinvoltura che ha l’atleta quando corre a piedi, ma a una velocità decuplicata. Per frenare sarebbe bastato rallentare la pedalata o contrapporre con decisione le gambe al senso di rotazione e spostare il peso sulla ruota anteriore per bloccare quella posteriore e partire in derapata. Una tecnica di guida decisamente originale e sicuramente molto rischiosa che ha fatto dei messenger e delle loro bici un vero cult.
Le gare dedicate alle bici fisse
Il mondo delle gare dedicate alle bici fisse è un mondo affascinante e per lo più “sotterraneo”, quasi segreto, spesso al limite della legalità. C’è un circuito internazionale che si chiama Red Hook (criterium da 15 giri di 1 miglio) che si svolge nelle principali capitali, da NY a Milano. Qui le strade vengono chiuse, di notte, spesso senza permessi regolari. A Varsavia, recentemente, si è svolto il Cycle Messanger World Championship (ogni anno in una città diversa). Le prove sono le più disparate: l’Alley Cat (si parte da un punto della città con bici a terra e lucchettate. I ragazzi ricevono una busta e devono seguire un percorso fino a ritornare al punto di partenza, raccogliendo testimoni durante il tragitto). C’è una criterium, la “up hill” (500 m di strada in salita cronometrati), la gara su pista in velodromo e poi lo “skid”, ossia la frenata più lunga.
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