venerdì 4 novembre 2011

Come nascono le bici a scatto fisso?

Immaginatevi New York, primi anni ‘80, l’economia mondiale girava intorno a Wall Street e la velocità nella comunicazione per fare business, per la prima volta, assume una nuova dimensione. Internet era praticamente ancora un’utopia e la posta cartacea troppo lenta per soddisfare le necessità d’informazione della nuova e rampante razza di colletti bianchi definiti “yuppies”. In questo contesto si sviluppa – prima a New York, dopo a San Francisco e poi in tutte le principali metropoli americane – un nuovo profilo professionale, quello dei messenger, i fattorini in bicicletta che con grande rapidità ancora oggi fanno consegne di piccoli pacchetti e buste nelle vie del centro. Un movimento che non ha tardato a suscitare l’interesse di sociologi e studiosi del comportamento umano, celebrato da Travis Hugh Culley nel libro intitolato “il Messaggero” e dal lungometraggio originariamente conosciuto come “Quicksilver” ma da noi proposto con il decisamente meno coinvolgente ed evocativo titolo di “Su e giù per Wall Street” del regista Thomas Donnelly e interpretato da un giovane Kevin Bacon reduce dai successi di Footloose.

Il telaio dei messanger era rigorosamente usato, non dimentichiamoci che la bici doveva servire per fare soldi, non per spenderli. Via tutti i rapporti, via il cambio, il deragliatore e i comandi, la sella il più essenziale possibile, magari in plastica rigida (tanto si pedala sempre in piedi), il manubrio il più stretto possibile al limite delle dimensioni delle manopole per passare tra le auto anche dove sembra impossibile e via anche i freni, tanto si può frenare con il mozzo a contropedale. Ma cosa succede se si resta ugualmente imbottigliati? Per non perdere tempo prezioso ci vorrebbe la retromarcia. Così tra i messenger scatta la frenetica ricerca dei mozzi posteriori a scatto fisso, cioè privi di ogni meccanismo di ruota libera e solitamente utilizzati dai professionisti in allenamento o su pista. La miscela così ottenuta è assolutamente esplosiva, grazie ai pedali con i puntapiede e i cinghietti, uomo e bici diventano una cosa sola, ogni grano che compone il manto di asfalto viene percepito dal biker che si muove nel traffico con la stessa disinvoltura che ha l’atleta quando corre a piedi, ma a una velocità decuplicata. Per frenare sarebbe bastato rallentare la pedalata o contrapporre con decisione le gambe al senso di rotazione e spostare il peso sulla ruota anteriore per bloccare quella posteriore e partire in derapata. Una tecnica di guida decisamente originale e sicuramente molto rischiosa che ha fatto dei messenger e delle loro bici un vero cult.

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